I numeri che riguardano il mondo sanitario in risposta al Covid-19 raccontano una storia fatta di repentina adozione di tecnologie di assistenza e conseguente calo di modus operandi tradizionali, sinora consolidati. Un sondaggio ha rilevato che la crisi scatenata dal Coronavirus ha avuto un impatto sul 97% di tutti i flussi medici. Ciò vuol dire che, per almeno tre mesi, quello che le persone facevano dal proprio medico di base, dallo specialista, in ospedale, non è stato fatto oppure ha dovuto adattarsi per ridurre al massimo l’incontro fisico tra dottore e paziente. A questo punto, possiamo solo ipotizzare gli effetti di lunga durata della crisi sull’assistenza sanitaria. Numerosi osservatori sottolineano come, qualunque cosa accada, il settore sarà cambiato per sempre. La telemedicina assumerà un ruolo molto più centrale di quanto non sia oggi e gran parte delle attività fruite in centri medici si svolgerà in casa. Del resto, abbiamo visto di tutto durante la pandemia, dagli ospedali sopraffatti alla crescente paura di essere contagiati; ma anche l’importanza di avere un sistema sanitario solido e tecnologicamente avanzato.
Giorgio Metta, Scienziato e Professore
Basti pensare all’esperimento della ricetta inviata come sms (un codice) sul numero di cellulare, che ha velocizzato il ritiro dei farmaci con accessi contingentati in farmacia, uno scenario che è la diretta conseguenza della già esistente ricetta elettronica via email. Oltre a ciò, con lo sviluppo del cloud, è stato naturale adottare soluzioni con cui la sanità ha approcciato metodologie digitalmente ottimizzate. Portali dove prenotare o scaricare gli esami sono all’ordine del giorno con i primi esperimenti che permettono di mettere in contatto specialisti e pazienti, per un consulto veloce online in videochat. Appannaggio di piattaforme attualmente a pagamento, anche la sanità pubblica dovrà abilitare qualcosa di simile, per un domani in cui si andrà dal dottore solo in caso di estremo e concreto bisogno.
Peraltro, l’uso di apparecchiature di realtà virtuale e aumentata (VR/AR) e applicazioni software specificamente progettate per l’ecosistema sanitario stanno già aiutando a cambiare il piano di relazione, anche prossemica, tra i soggetti della “relazione” medica. Durante la pandemia, migliaia di ospedali al mondo hanno utilizzato tecnologie in remoto per controllare l’andamento dei pazienti in quarantena, alleggerendo gli operatori sanitari da un ulteriore onere. Progressi continui in ciò che può essere trattato o meno da casa, comporterà che anche i medici possano fare a meno di recarsi abitualmente in studio, aumentando l’efficienza degli stessi anche rispetto al tempo per spostamenti, aperture e chiusure.
Mariano Corso, Professore
ll trattamento delle condizioni croniche, come l’insufficienza cardiaca, polmonare ed enfisema, il cancro e le malattie neurodegenerative, si sposterà gradualmente verso un “healthcare system home based”, dagli ospedali a casa. L’assistenza domiciliare è in genere meno costosa di quella nei centri e il Covid-19 stesso ha dimostrato che ancora più pazienti possono essere trattati bene, a domicilio, senza essere ricoverati. Ovviamente, vista la lunga coda del virus che ha segnato il 2020, urge seguire alla lunga i guariti, con controlli più frequenti e, a maggior ragione, perseguibili anche a livello domestico.
G.C. Medico e Professore
La “centralizzazione” si riferisce al modo in cui le cose possono essere organizzate, da molte e piccole unità o grandi forze dominanti. La scelta sarà altalenante proprio tra una risposta centralizzata ad una periferica, che privilegi la qualità alla quantità. Da una parte pochi ospedali hub, dall’altra una rete di strutture territoriali, con strumenti idonei a svolgere le attività di normale assistenza e quelle di risposta ad eventuali pandemie, per evitare che il sistema collassi nell’impreparazione.
Genoma 2030: l’analisi della normalità
Se nel 2015 il progetto Google Genoma aveva dei contorni alquanto distopici e post-umani, nel 2030 chiunque poggi il suo piede sulla Terra avrà ottenuto il sequenziamento del proprio genoma. Già cinque anni prima, ossia nel 2025, avremo un numero compreso tra i 2 e i 40 exabyte di informazioni genomiche disponibili, ovvero un miliardo di miliardi di dati riguardanti il DNA umano. Una piattaforma globale farà da contenitore per tale mole di elementi, con oltre un miliardo di persone che avrà deciso di condividere il genoma online. Dal 2021 al 2031, la quantità dei dati genomici prodotta quotidianamente sarà raddoppiata ogni 12 mesi, tale da richiedere la costruzione di data center dedicati e gestiti da un’intelligenza artificiale superiore che, nel contempo, assicuri l’incorruttibilità delle sequenze e la difesa da parte di intrusioni terze. Ma perché questo boom?
Nella pandemia da Covid-19, è stata ampiamente riconosciuta l’opportunità di collegare i fattori genomici dell’ospite alle manifestazioni cliniche, altamente variabili, della malattia. L’infezione (come nel caso di tutte le infezioni) è una complessa interazione tra il microbo, l’ambiente e l’ospite umano. La variazione nel genoma umano è stata spesso collegata alle complicanze associate alle infezioni e se l’obiettivo dei ricercatori è divenuto, a fine 2020, identificare i fattori che aumentano la suscettibilità o la resistenza a tali complicanze, per tradurre i risultati in una migliore cura, allora mappare il genoma di tutta la popolazione al mondo diviene essenziale e non più accessorio. Per questo, la comunità scientifica ha rapidamente mobilitato gli sforzi per far avanzare la scoperta in materia di Coronavirus, attraverso studi genomici su larga scala. Nel complesso, la conoscenza del DNA ha portato, già a inizio 2022, ad ottenere cure per gli infetti, attraverso la stratificazione del rischio, nonché opzioni mirate di prevenzione e trattamento.
Massimo Di Felice, Sociologo e Professore
Roberto Costantini, Manager e scrittore.